IN
MEMORIA DI UN GRANDISSIMO:
FABRIZIO DE ANDRÈ - LA DIVERSITÀ CORROSIVA
(articolo
su "Zero In Condotta")
La
bara scura ha l'odore del legno nuovo, lucidato a mano. E pesa. Pesa
sul cuore e sulle spalle di quattro-cinque milioni di persone. Dentro
c'è un autore di canzoni. Degli italiani il più grande di tutti, compresi
quelli recentemente morti e quelli momentaneamente vivi.
E sotto la bara si barcolla, si parla, si telefona agli amici. Ad oltre
una settimana di distanza ce ne siamo fatti una ragione: De Andrè è
morto per davvero e del suo livello non è rimasto più nessuno. Questa
morte scavalca il giorno proiettando tutti - chi più chi meno - verso
riflessioni lampeggianti: per esempio sull'opera di questo "amico" andato
e il suo destino.
E' interessante, se si vuole, guardare il modo con il quale i media
televisivi hanno trattato l'uomo De Andrè e la sua musica. A fronte
dei debordanti e pressoché ossessivi servizi a tutto campo messi in
opera alla dipartita di Battisti - stavolta abbiamo assistito a una
specie di mancamento. Direi uno "svenimento" dei palinsesti.
De Andrè è stato "ospitato" perché non se ne poteva fare a meno, con
un pudore degno della disattenzione (ed anche degli ostracismi) che
avevano caratterizzato quegli stessi media durante la sua intera vita.
E' ovvio che questo spiega la differenza durante la sua intera vita.
E' ovvio che questo spiega la differenza: la sostanziale inoffensività
del "messaggio" di Battisti e la sottile sovversione del Pensiero Morale
Ordinario di De Andrè.
Quest'ultimo punto merita d'essere sottolineato laddove si ricordino
le particolari attenzioni delle quali fu oggetto dalla cosiddetta "squadra
50" - una intelligence genovese al soldo della Polizia che lo spierà
dal 1970 al 1976 definendolo cantautore "filo-comunista" e che lo incluse
- nientemeno - tra i sospettabili coinvolti a vario titolo nella strage
di Piazza Fontana.
La diversità corrosiva di De Andrè non poteva che (moderatamente) allarmare
banchieri, pizzicagnoli e notai /coi ventri obesi e le mani sudate:
una genia nefasta che si annida dappertutto: tra questurini, politicomani,
censori radiotelevisivi e, naturalmente, giornalisti. Così la sua poesia
è stata recepita come "copertura" di un discorso scandaloso. Perché
ci furono momenti in cui lo stesso vivere dette scandalo, come quando
- dopo essere stato sequestrato - oltre a non volersi costituire parte
civile contro i suoi sequestratori, regalò loro sessanta milioni oltre
i ciquencentocinquanta che i familiari avevano versato il riscatto.
In realtà, la sua poesia è una sequenza ininterrotta di fotografie di
confine, dove corre un filo di stati d'angoscia da liberare. La tematica
di Fabrizio De Andrè non è basata, come ad alcuni è dato pensare, sulla
pietà per gli ultimi bensì - più seriamente - sull'ipocrisia che gonfia
il popolo della musica e il perbenismo in generale. Su di lui si scriverà
ancora. Si rifletterà ancora.
Perché egli cade perfettamente sulla fine del secolo: in un mondo di
rivisitazioni o di presentimenti. Nel mondo com'è: torbido, perché siamo
torbidi e miope, perché siamo miopi. E poiché tutto è stato detto nella
pianura di polvere di cui si nutre il ricordo, noi crediamo di aver
bisogno ancora di un po' di concentrazione prima di porre De Andrè sottoterra.
Un tempo lungo quanto sensibilità personali o i cunicoli che egli è
riuscito a scavarci di dentro. Dovremo percorrerli per rintracciare
il canto nel vacillio delle cieche certezze, delle visioni chiare.

IL
23 OTTOBRE AL PALAMALAGUTI DI CASALECCHIO DI RENO
- LE PENOMBRE DI CLAPTON -
(articolo
su "Zero In Condotta")
Sull'Italia (Milano e Bologna) sta per cadere la "lenta mano" del rock.
Mano monumentale, la cui tecnica ha influenzato generazioni di musicisti,
con alterne fortune, e con quel segno indelebile per cui potremmo dire
che quella mano s'abbatte sulle musiche contemporanee in un rallenty
che alza polveri d'oro. Eric Clapton: ostinato, "operaio specializzato"
della musica, cinquantatreanni, la paura come convivenza. Almeno fino
a qualche tempo fa.
Prima soltanto il blues come religione. Adesso il blues, il rock e il
denaro. Lento: < Sono lento ad imparare, lento a crescere >. E
l'alcool, l'eroina, la morte a segnarne gran parte della vita. Mentre
scrivo piove e la pioggia, nel senso di hard rain, è una delle sue condizioni.
E scrivo in una cantina, per conforto una birra, con amici che distraggono.
E anche questo ha a che vedere con lui. Così questo è uno scritto "perduto",
magari estremo con ancore di vigilanza.
Dunque cominciamo a parlare di un mito che arriva a Bologna preso da
nebbie e da una storia che lo "schiaccia" e magari "inimica" alle presenti
generazioni: perchè qui non stiamo parlando di Battisti (pax et gloria),
Sting o Battiato, qui parliamo delle fondamenta della musica che viviamo.
Definito "geniale" ma anche "ambiguo", su Clapton abbiamo una celebre
definizione di Jack Bruce (già bassista dei Cream): < Lo odio, è
un musicista fermo, incapace di andare avanti [...] >, dato più volte
per finito e senza idee, ripercorrerne la storia è appunto navigare
un quarto di secolo della musica pop.
Con una certa stanchezza - quando si deve fare microbiografia (comunque
essenziale per chi avesse soltanto vaghe informazioni sul personaggio)
- ricordiamo i suoi momenti cruciali. Già dall'adolescenza il suo trip
particolare si muove attorno a quel Paese dell'anima che è il Blues.
A sedici anni ascolta per la prima volta il bluesman Robert Johnson
(una leggenda proveniente dal Mississippi, che dovrà aspettare quasi
venticinque anni dopo la morte perchè si pubblichi un suo album: 1962,
King of the Delta Blues Singers).
Non per manie snobistiche classiche dei ceti medio-alti, ma per amore,
essendo figlio di operai, Clapton comincerà a vivereblues. La matrice
iniziale è questa, poi Sonny Boy Williamson, Buddy Guy, B.B. King...
Ma la storiografia che alimenta il mito, quella per la quale siamo qui
a parlarne, comincia con gli Yarbirds, continua con i Bluesbreakers
di John Mayall e poi i Cream fino ai Blind Faith. L'influenza di Clapton
su alcuni gruppi (e attraverso questi su generazioni di musicisti) è
lampante per quanto riguarda i Traffic, i primi Fleetwood Mac, i Savoy
Brown, Climax Blues Group e Ten Years After.
In realtà con i Cream, non è peregrino individuare situazioni ispirative
su stili come l'heavy metal. Ma questo è "soltanto" il vecchio Clapton
(del quale non cito l'osannatissima Layla del periodo Derek and the
Dominos, personalmente percependone un che di "moribondo" ora, nella
velocità confusa dell'anno Duemila), il vecchio Clapton dato tante volte
per morto e alcune per vivo. Più avanti la sua vita verrà travolta dalla
cronaca: la storia con la showgirl Lory Del Santo, il figlio che ne
nacque: il piccolo Connor che precipiterà dalla finestra di un grattacelo
a New York. Ed è qui che occorre una piccola riflessione: siamo - in
verità - tutti e ciascuno travolti dalle nostre cronache personali.
Abbiamo tutti dei piccoli Connor che cadono nell'estremo silenzio dei
nostri cuori, ma accade che quando questo succede a persone amplificate
nell'intricato sistema mediatico ci si raccoglie intorno al dolore altrui
quasi in atto di preghiera. Il problema è ancora e sempre del rispecchiamento.
La drammatica vita di Eric Clapton (in questo senso seconda a molte
di quelle note, per tutti basterebbe ripensare a Roy Orbison) ci viene
comunque restituita (soprattutto nei momenti critici) dalla sua produzione.
Forse non è un caso che negli ultimi dieci anni due soltanto sono gli
album degni di nota Unplugged (1994) e From the Craddle (1996). L'anno
scorso, forse travolto da contratti da onorare è uscito il mediocre
Pilgrim e così la storia di vette e abissi si ripete. E' in questa condizione
- diciamo critica - che il 23 ottobre, Clapton arriva a Bologna.
L'importanza di questo approdo va indicata soprattutto ai nuovi giovani
e a quella parte di essi che - in buona fede - presumono di sapere "tutto"
sulla musica. Partendo dalla pesante verità che la musica è un arcipelago,
che anzi le musiche sono mondi, bisogna (sommessamente) ricordare loro
che se ci sono i "trisavoli" della Scienza e della Matematica con i
quali occore fare i conti, altrettanto è per i "trisavoli" della Letteratura
e dunque della Musica. Non si tratta solo d radici, ma di sapere o non
sapere. E da Clapton può partire un'importante lezione essendo egli
comunque un maestro.
Tratto
da "Mattina" [inserto de "l'Unità" per l'Emilia-Romagna] di martedì
19 dicembre 1995, una intera pagina su Luther Blissett, con una breve
introduzione su "Mind Invaders" e una mega-intervista a Luther.
LUTHER
BLISSETT SI PRESENTA. IL SUO LIBRO E' GIA' UN CULTO
Sarà
un libro cult? Staremo a vedere. Per ora "Mind Invaders", libro del
e/o sul pensiero di Luther Blissett è destinato a diventare un caso.
L'occasione comunque per parlare di lui e dei tanti, tantissimi antagonisti,
gruppi e gruppetti di giovani e non solo che nell'Emilia ricca e spaparanzata
soggiornano alla ricerca di una loro identità e visibilità. In questo
breve viaggio tra i "trasgressivi" (le virgolette sono d'obbligo) oltre
a Blissett che è sicuramente il più rappresentativo abbiamo cercato
di disegnare una mappa della diversità e dell'antagonismo. Nulla di
esauriente ben inteso, ma in mancanza d'altro... Sia quel che sia questo
libro ("Mind Invaders- Come fottere i media: manuale di guerriglia e
sabotaggio culturale") di Luther Blissett (Castelvecchi, pp. 150, L.
14.000) è definibile come seducente nell'accezione di chi pensa a possibili
fenditure nella compattezza livida del Sistema che ti sistema la vita.
Eppure è prevedibile la simpatia (unilaterale) che raccoglierà questo
volumetto dai settori ultraborghesi & patinati, per via di un'altra
seduzione che da queste pagine alita come l'inganno di un canto di sirena.
E' inconsueto che un'entità antagonista presenti sé stessa con un libro
che non è un manuale, un'invettiva o un manifesto. "Mind Invaders" allora
diventerà un cult: segno dell'abbandono del ragionamento politico consequenziale.
Una lettura del mondo che la Destra ignora e che non convince la Sinistra.
Con "Mind Invaders", Blissett comunica definitivamente la propria esistenza
rivolgendosi ad un interlocutore senza classe né ceto: la rivoluzione
non è più soltanto un "territorio" abitato da chi è sfruttato, ma si
estende su tutti i territori possibili dove si muove l'intelligenza
dell'uomo.
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"E' TEMPO DI SABOTARE I MEDIA"
Forse
parla vicino all'aeroporto perché si avvertono rombi e acustici decolli.
Ma la voce, senza cadenze dialettali di rilievo, potrebbe pervenire
dal mercato per via del brusio, dei tonfi, dei richiami che fanno da
colonna sonora a questo colloquio telefonico. Stupisce la prontezza
e la precisione delle risposte, ma stupire è tipico del personaggio.
Pronto Luther? "Sì. Qui Luther Blissett". - Di quale Luther si tratti
ovviamente non ha alcun chiedersi.
CHE
COSA VUOL DIRE BLISSETT? E' UN NOME COLLETTIVO?
E' un nome portato da molte persone diverse. Al momento esistono svariate
centinaia di me sparsi per il mondo e continuo ad aumentare...
E
A COSA SERVE UN NOME COLLETTIVO?
A moltissime cose. A superare il mito dell'individualità, ad esempio.
Soggetti diversi, in luoghi diversi, possono partecipare a costruire
un macropersonaggio che di volta in volta si trasforma in artista, psicogeografo,
rivoluzionario, DJ, eccetera...cioé un personaggio virtuale nell'immagine
e concreto nelle manifestazioni contingenti. Un altro aspetto utile
del nome collettivo è che elimina il problema del copyright: essendo
uno e multiplo, Luther non ha l'esclusiva su quello che produce, tutto
viene automaticamente rimesso in comune e in circolazione. Questo per
altro non esclude margini di guadagno, la fama di Luther è ogni giorno
più grande grazie a tutti quelli che si firmano Luther Blissett, e sai
come funziona, no? Più sei famoso più sei quotato...
PERCHE'
NON TI FAI FOTOGRAFARE IN FACCIA QUANDO COMPARI IN TELEVISIONE O SUI
GIORNALI?
Non certo per paura dei tutori dell'ordine, se è questo che vuoi sapere.
Tanto più che io personalmente sono incensurato. Esiste l'icona di Luther,
un volto che è il risultato di dieci volti, maschili e femminili, morphati
assieme. E' più che sufficiente. Se lasciassi che i media mi riprendessero
impedirei a un sacco di gente di identificarsi con Luther, di spacciarsi
per Luther. Cerca di capire: la mia non è un'icona sacra, non rappresenta
il cadavere imbalsamato di un leader maximo. E' una maschera che serve
a quella che dovrebbe essere una rivoluzione non individualizzata o
capeggiata da un ideologo, una rivoluzioneche avanza in modo molecolare,
o se preferisci virale, per infiltrazione. Se ti interessa a tutti i
costi sapere chi c'è dietro l'icona puoi sempre prendere uno specchio
e guardarti.
TI
DEFINISCONO UN "TERRORISTA CULTURALE"...
...Le definizioni mi vanno strette, diciamo che tendo ad ingrassare,
ma in effetti il mio è un assalto alla cultura. Una volta ho scritto
che destabilizzare la cultura è sicuramente più efficace che sparare
ad altezza d'uomo in mezzo alla folla. Mi spiego meglio: la strategia
si basa sulla seduzione. Si tratta cioé di infiltrare il mercato (culturale
e non) con desideri che il mercato stesso non può soddisfare. Un nuovo
modo di usare il tempo libero, di camminare per la città, di fare l'amore,
una nuova chance di vita, può essere pubblicizzata fino a trasformarla
in una richiesta enorme. Luther vuole collegare questa richiesta a tutte
le manifestazioni di rifiuto e di insoddisfazione che percepisce nel
mondo intero: dal Chiapas alla periferia di Parigi, da uno squat di
Londra a un atollo nel Pacifico.
LA SINISTRA PERO' TI RIMPROVERA L'IRRAZIONALITA' TEORICO-PRATICA, LO
SCOLLAMENTO DALLA SOCIETA' CHE LAVORA E DALLA REALTA' CONCRETA. COME
RISPONDI A QUESTE ACCUSE?
La distinzione tra razionalismo e irrazionalismo è roba di due secoli
fa. Io penso che le mie idee siano potenzialmente nella testa di chiunque
e che le mie pratiche "irrazionali" abbiano risvolti molto concreti.
Provare per credere.
NUOVA
POVERTA', LAGER PER IMMIGRATI, RAZZISMO DILAGANTE, INGIUSTIZIA SOCIALE...
A QUESTE REALTA' TI ACCUSANO DI NON PRESTARE ATTENZIONE.
Si sbagliano, e di grosso. Ho proprio intenzione di agire su tutte queste
cose per modificare lo status attuale.
I MEDIA E LA LORO CAPACITA' DI RITRASCRIVERE IL MONDO SONO UN TUO OBIETTIVO
PRIORITARIO. DUNQUE HAI IN MENTE UN USO DIVERSO DI QUESTI MEZZI?
Beh, diciamo che non mi interessa smascherarne la falsità. E' un luogo
comune che raccontino balle, non c'è bisogno di me per fare scoop in
proposito, ci sono fin troppi Antonio Ricci disposti a dedicarsi a qeste
cose... Quello che vorrei suggerire io è un modo diverso di rapportarsi
ai media. Il vero potere non sta nello spegnere il televisore, sta nell'interagire
con chi impone la notizia. Sto proponendo di ridemensionare i media
nel nostro immaginario, invece di sopravvalutarli. Voglio divertirmi
a raggirarli e coinvolgerli in un gioco che tolga la loro gestione totale
delle notizie, piuttosto che tenere in piedi il mito di una possibile
informazione asettica e pulita. Io almeno non credo che esista da nessuna
parte.
I
GIORNALI HANNO SCRITTO CHE LUTHER AVREBBE ESPULS LO SCRITTORE ENRICO
BRIZZI DAL GRUPPO. VOGLIAMO CHIARIRE UNA VOLTA PER TUTTE QUESTA STORIA?
Ho letto sui giornali di questa fantomatica espulsione di Brizzi dal
Progetto Luther Blissett e mi sono fatto un sacco di risate. Come credi
che sia possibile espellere qualcuno da un progetto basato sul principio
che "tutti siamo Luther Blissett"? E poi chi si incaricherebbe dell'espulsione?
Non c'è un Comitato Centrale del Progetto, ne un gruppo dirigente, è
un netowork aperto. Io stesso ad esempio non so quanta gente è coinvolta
ora come ora, tanto meno chi ne faccia parte. Per quanto ne so Brizzi
non ha mai collaborato con Luther. Può darsi che si conoscano e che
ogni tanto bevano una birra insieme, ma niente di più. Se poi a qualcuno
piace vederci contrapposti perché agiamo in direzioni diverse nei confronti
dell'establishment culturale, è padronissimo di farlo e probablmente
avrebbe anche ragione. Ma per favore piantiamola con questa storia delle
espulsioni.
MA NON TI SPAVENTA QUESTA ACCESSIBILITA' INCONDIZIONATA? NON PENSI CHE
IL NOME COLLETTIVO POTREBBE ESSERE USATO DA QUALCUNO CON INTENTI DIVERSI
DAL TUO?
Interessante... Immaginiamoci uno scenario alla John Le Carre: agenti
della CIA o della Spectre usano come copertura il nome Luther Blissett.
Premesso che non potrebbero monopolizzare il Progetto, dal momento che
non c'è un centro operativo da infiltrare, cosa ti fa pensare che il
loro intervento non contribuirebbe ad estendere la leggenda? Mettila
così: non tanto Luther manipolato dalla CIA, ma la CIA coinvolta nel
Progetto Blissett.
da
"Zero in condotta", 19 aprile 1996, pag.21
LUTHER BLISSETT: NON AVER PAURA DELLA PAURA
E'
appena uscito il secondo libro del L.B. Project, intitolato "Totò, Peppino
e la Guerra Psichica", quasi un'appendice di "Mind Invaders" di Gilberto
Centi INTROITUS. Scrivo queste righe in un'antica città del centro Italia,
e perciò in condizione privilegiata: un po' di profilo sugli avvenimenti
ma di spalle alla loro riscrittura. E qui, con i tempi diseguali che
ritmano i diversi luoghi, Luther è comparso. A primavera. Con un sorriso
parente alla minaccia.
A Bologna ho lasciato isole di nervosismo attorno all'"ennesimo" libro
di Blissett, l'"onnipresente". E' curioso come questi contenitori umani
di ossessioni (calcio, denaro, Pennac e Dio) abbiano perso il conto
degli scritti di un Autore che moltiplicano, riconoscendone involontariamente
anche la presenza senza luogo e senza fine (onnipresenza) che del L.B.
Project è uno degli scopi.
C'è dunque, tra la Provincia come osservatorio e uno spicchio di Bologna
come reazione-in-loco la via per un'unica indagine sul come Blissett
(questa moltitudine di corpi, avvenimenti, testi e voci) perfori le
distanze e sussurri, gridi o rantoli contemporaneamente in "emisferi"
paralleli, nella "Solitudine" del proprio nome-convenzione e intanto
ricapitoli in sé l'ossessione di quanti stanno imprigionati nel dogma
infelice e tristanzuolo che recita come "ogni bel gioco dura poco".
I secoli decorrono e quest'ora segna già il tuo passato. Corrono i secondi
e il tempo è un altro. Adesso un gioco, ma un gioco veramente bello,
lo si fa durare. Per i bibliofili incerti o un po' sconvolti annotiamo
che Luther Blissett ha scritto due soli libri: "Mind Invaders" (Castelvecchi,
in ristampa) del novembre scorso e -cinque mesi dopo - questo del quale
siamo qui a parlare. Non si pecchi, né ci si confonda: le restanti presenze
editoriali sono due:"La
creatura una e multipla"(a cura di chi scrive), del 1995 edita da
Synergon che riassumeva - in una sorta di Annunciazione un po' troppo
frettolosa - le prime sortite italiane del multiple name e / all'opposto
/ il recente Net.generation (Mondadori, gli Oscar) che è la prova di
come un'Ossessione riesce a transitare per i compartimenti intercomunicanti
del media-system.
E profitto, per ricordare un libro "antico", precursore: "Transmaniacalità
e situazionauti", neanche questo di Luther, ma di Roberto Bui (Synergon,
1994). Dunque Luther rischia per questo una "nociva" sovraesposizione
mediaticia? Ricomponiamoci: basti pensare che di sovraesposizione viviono
(cioé non muoiono) Umberto Eco, il Papa, Telefono Azzurro e Maurizio
Costanzo. Piuttosto adesso si potrà cominciare a scrivere altro attorno
al Progetto: prove di simulazioni, accelerazioni verosimili nei prossimi
scenari temporali e tanto ancora, come gioco fascinoso del "possibile",
del verosimile, nel grande game del tranello o dell'infingimento.
SUBSTANTIA "Totò, Peppino e la Guerra
Psichica" (AAA Edizioni, pp. 142, l.18.000) si prefigura come completamento
(al limite, appendice) di "Mind Invaders" che traccia le Leylines dal
Luther Blissett Project nell'accezione di Omphalos (una forzatura mutuata
dagli assunti e dal linguaggio psicogeografico), con stesura alla deriva
che ha lasciato varchi e porte aperte a quest'ultima provocazione. Pur
autodefinendosi "antologia di testi", "Totò, Peppino e..." è un rigoroso
documento di prassi e teoria in movimento. Dagli affondi nel seno viscido
della Grande Prostituta, la Comunicazione-medium che evoca la finitezza
del controllo e della propria fantasia, Luther con un "ordine" che ci
trova in perfetto feeling - invertendo il nostro casuale sommario -
propone l'esemplare "Il Novecento sotto i piedi" (già pubblicato, autoprodotto,
alla fine del '95) che tratta di quattro aspetti mitologici.
Quello della VERITA' ("Giocare con le cose serie, ecco il peccato di
L.B."), della RAGIONE ("Una metodologia pragmatica-blissettiana che
dice di formulare analisi, cioé ipotesi, rispetto a determinati fini,
e andare a verificarle nella prassi"), del SE' ("A chi ci vuole rubare
la gioia, risponderemo che la gioia non ha padrone, non che i padroni
di quella gioia siamo noi") e della STORIA ("La Memoria Storica...il
memorismo...trova la sua ragione d'essere nella lotta contro il tentativo
revisionista di imboscare degli indizi...
E' lo scontro per il possesso dei cadaveri, delle spoglie. E' la vita
dirottata sulla morte"). Il corpus centrale del libro è affidato all'"esplorazione
urbana psicogeografica", al suo controllore simbolico e al Teatro Situazionautico
L.B. di Bologna ("...il teatro non avrà paura di straripare.. uscire
da se stesso; contaminare e contaminarsi con altri media e linguaggi...
Fuori da se stesso verso la complessità e le contraddizioni del mondo,
il teatro può trovare il coraggio di eseguire gesti sacri ovunque: dall'ipermercato
al cyberspazio"). In questo libro troverete i cinque "sermoni" trasmessi
da Radio Blissett. Dal terzo traggo un brano, al di sopra di qualsiasi
commento: "E' sul ponte, inarcato verso il possibile, che noi AMIAMO.
Non ci si "rifugia" nell'amore, non ci si "consola" con l'amore, l'amore
lo si incontra quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta..."
CONSIDERATIO
Ho molto da dire e scrivere sul L.B.P. e quanto ne consegue (conseguirà,
conseguirebbe...): questo libro ne amplia e rafforza l'inventario là
dove si nasconde il pensiero magro, contaminato dalla convinzione che
è questo (più o meno) l'accesso ai centoventimila antagonismi del secolo
XXI - da qui, da Blissett parte il Disegno (la Mappa) che tra poco più
di un migliaio di giorni consegneremo al nuovo Millennio. Partiranno
da qui coloro che infine riusciranno ad attraversare il mare senza bagnarsi
i piedi...Per dove non sappiamo. "L.B. è la vendetta del quotidiano
meraviglioso e anonimo sull'odioso spettacolo della celebrità... è la
poesia della rete... è la possibilità di vivere molte vite a distanza
ed essere vissuti da tanti in una sola esistenza
articolo
tratto dal sito www.lutherblissett.net
CHI
HA PAURA DI LUTHER BLISSETT?
Viaggio
nel pensiero "instabile" dei creativi dell'incomunicabilità
Un "macropersonaggio virtuale nell'immagine e concreto nelle sue manifestazioni
contingenti" si aggira per queste terre e per l'Europa: Luther Blissett.
E' difficile dire quanti Luther siano oggi a Bologna e in Emilia-Romagna
per la semplice ragione che il progetto non ha strutture di controllo
al suo interno e che può aver deciso di essere Luther l'inquilino della
porta accanto, senza essere tenuto a segnalarsi presso i propri omonimi.
Egli sa solo quello che agli altri lo unisce: la volontà di ribaltare
il ribaltabile, recuperando schegge di pensiero dal passato prossimo
e più ancora da quello remoto. In altre parole ripensarle alla luce
di questo tempo che trova apocalittico.
Quale Apocalisse? L'immediato quotidiano, le strade che attraversiamo,
gli spazi urbani che condizionerebbero i nostri umori, perché - semplificando
- è elementare che una bella piazza rassereni mentre incupisce una certa
periferia. Dunque bisogna imparare a camminare, evitando i punti negativi
che Luther sta mappando per tracciare una carta topografica della città,
del tutto nuova, psicogeografica, empirico-emotiva. Già questo la dice
lunga sulla peculiarità di un non-movimento fortemente creativo e per
più versi destabilizzante.
Come "destabilizza" l'aspetto ludico di decine di Luther Blissett impegnati
in un "attacco psichico" contro il progetto Bofill (l'architetto che
ha progettato la nuova stazione ferroviaria di Bologna) o contro l'ampliamento
dell'aeroporto.
La scena ricorda vagamente i riti di Decontaminazione del Pentagono
dal demonio dei beats americani, ma da quei fatti si distingue per la
violenza vocale e perché i presenti uniscono le menti in una sorta di
catena di concentrazione psichica contro l'obiettivo. L'irrazionalità,
d'altra parte, Blissett la rivendica come frontiera avanzata di un pensiero
e di una pratica diversa d'opposizione. Ma c'è anche un'altra "follia",
se così si può dire, di Luther che a noi sembra particolarmente interessante.
Quella dei "seminatori di caos" nel mondo della comunicazione. Il progetto
è quello di attaccare i media con simulazione di eventi, falsificazione
di dati e interazione manipolatoria.
Lo hanno fatto con "Chi l'ha visto?", lo fanno regolarmente con la stampa
locale, e non ci stupirebbe che ripetessero l'impresa in altre sedi.
In effetti individuare il potere della comunicazione come il più subdolo
persuasore e suggeritore di comportamenti e opinioni, è un atto di realismo.
Oggetto di curiosità della sinistra, inviso alle ali estreme della stessa
[Right on, Gilberto!], Luther pone quesiti. Il fascino latente in questa
storia? Che predilige le derive della leggenda, nel momento in cui sembra
dormire il Pensiero Differente.
Gilberto
Centi

Gilberto
Centi alla scrivania, nella sua casa_studio di Bologna.
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